Il cyberbullismo è in aumento e
rappresenta una vera e propria emergenza sociale.
Gli ultimi dati resi noti dalla Polizia Postale evidenziano come si possa
essere vittime di bullismo in rete
già a nove anni.
Un fenomeno che deve essere contrastato immediatamente agendo su un doppio
binario: la prevenzione primaria da
una parte, e la capacità di riconoscere e risolvere il cyberbullismo, quando in atto, dall’altra.
Lo stesso discorso vale per le nuove dipendenze
tecnologiche, come internet, smartphone e tablet. In entrambi i casi,
protagonisti indiscussi sono i genitori che, insieme alle istituzioni
scolastiche, giocano un ruolo primario nella battaglia contro i risvolti
negativi che spesso porta con sé la rivoluzione digitale. Un ruolo che però
sembra non essere ancora chiaro ai più.
E’ quanto emerge dai primi dati raccolti all’interno dell’indagine condotta
dal Centro Studi dell’Osservatorio e
Sviluppo Comunicazione Sociale (www.comunicazionesociale.org)
parte del più ampio progetto “Non lasciarmi solo”, rivolto ai genitori dei
nativi digitali.
Inadeguatezza dei genitori
“La tecnologia e la sua portabilità, stanno andando molto più velocemente
della presa di coscienza di genitori, adulti e, spesso, istituzioni”- spiega Lara Motta, esperta di comunicazione e
Presidente dell’Osservatorio. “A farne le spese sono i nativi digitali che sono
i primi a sperimentare, sulla propria pelle, il lato oscuro dei social e le
conseguenze di una ipertecnologizzazione, spesso alienante, della vita e della
società. Bambini e ragazzi che crescono in compagnia della tecnologia come
elemento naturale, senza però ricevere,
di contro, una reale guida o un’educazione al loro utilizzo critico. Nella
maggior parte dei casi si riscontra l’assenza di un controllo e di una
formazione continuativa e concreta, sia da parte dei genitori sia della
scuola”.
“La cosa più sorprendente – prosegue Lara
Motta - è notare come molti di questi genitori siano attenti, e talvolta
addirittura apprensivi, in tutti gli altri ambiti della vita quotidiana dei
figli, salvo poi dimostrare un’allarmante superficialità nel controllo e
nell’educazione dei loro bambini e ragazzi quando si tratta dell’uso (e abuso)
della rete e dei dispositivi tecnologici. Basti pensare che un’azione semplice come l’attivazione delle
modalità di protezione, che bloccano la navigazione verso siti inadatti ai
ragazzi e con contenuti potenzialmente discutibili, viene effettuata solo da 1
genitore su 10 ”.
Inesperienza o superficialità?
Cosa si cela dietro a un atteggiamento, spesso noncurante, del genitore?
Come spiega Lara Motta, i motivi
sono molteplici:
“Spesso si tratta di genitori inesperti nei confronti delle nuove
tecnologie, perché anagraficamente o culturalmente distaccati.
Altre volte, invece, si nascondono dietro alla scusa dell’inarrestabile
progresso, per giustificare una certa pigrizia nel controllo dei propri figli.
Sono sempre più frequenti i casi in cui la tecnologia diventa un vero e proprio
sostituto del genitore, il quale approfitta del mezzo tecnologico come
strumento privilegiato d’intrattenimento del bambino, fin dai primi anni di
vita, favorendone in alcuni casi la dipendenza.
Altri genitori sono semplicemente ingenui: spesso, pur essendo loro stessi
utenti dei social network, non si
rendono conto fino in fondo dei rischi che si possono correre online, per
superficialità o per mancanza di una formazione mirata. Non sono in grado di
tutelare la propria privacy, tantomeno quella dei figli.
Alcune volte, invece, sono gli stessi genitori ad avere in rete una
condotta scorretta, forti di una percezione, spesso errata, d’impunibilità
nella vita virtuale. E’ chiaro che hanno bisogno, in primis, di essere loro
stessi oggetto di importanti percorsi di rieducazione e che quindi non possono
rappresentare una guida valida per i propri figli”.
Responsabilizzare i genitori
Oggi si può sempre più facilmente trovare, sia nella vita quotidiana sia
online, materiale informativo sui rischi connessi all’uso delle nuove
tecnologie e sul cyberbullismo.
Eppure questo non basta.
Nonostante l’informazione crescente, i dati e le ricerche mettono in
evidenza una reale mancanza di controllo da parte dei genitori nella vita
online dei propri figli.
E’ quanto emerge anche dai primi dati raccolti dall’Osservatorio
all’interno del progetto “Non lasciarmi solo”, secondo i quali solo 2 genitori su 10 conosce o controlla la
navigazione online dei propri figli.
“Il problema principale – spiega Lara
Motta - è che molti genitori ancora sottovalutano la questione. La
percepiscono come qualcosa di lontano. Credono di avere la situazione sotto
controllo e non si rendono conto realmente del ruolo primario che devono
ricoprire nel processo di prevenzione.
Questo comporta che il materiale informativo, il più delle volte, sia ricercato
quando già è troppo tardi, quando ormai ci si trova coinvolti direttamente
nella spirale del cyberbullismo o
della dipendenza da social. Ciò
significa che ancora non esiste una consapevolezza reale del fenomeno, di come
ci si arriva, delle sue implicazioni e dei risvolti nascosti”.
Una situazione che richiede misure immediate, soprattutto nella prevenzione primaria:
“E’ necessario coinvolgere tutti i genitori in una presa di coscienza
collettiva. E’ dovere di noi adulti conoscere a fondo gli strumenti tecnologici
che consegniamo nelle mani dei nostri figli, spesso con grande leggerezza o
ingenuità. Non si tratta di giocattoli”.
Come in qualsiasi altro ambito della vita, l’adulto deve raggiungere la
consapevolezza che i bambini e i ragazzi vanno controllati, educati,
responsabilizzati e messi al riparo da insidie e pericoli della rete.
“Per questo motivo – spiega Lara Motta - bisogna aumentare esponenzialmente la
comunicazione sociale nei confronti dei genitori e degli adulti, affinché siano in grado di assolvere
il loro dovere imprescindibile di educatori all’uso, e non abuso, critico ed
etico delle nuove tecnologie e dei social media. I
genitori devono essere un punto di riferimento per i figli sia nella vita
reale, sia in quella digitale”.
Educare i genitori per educare i figli.
Prima di concedere ai propri figli l’accesso alle nuove tecnologie, il
genitore ha il dovere, innanzitutto, di prendere coscienza delle proprio
livello di competenza in ambito web e social. Ma quante volte questo accade
nella realtà? Quante sono le famiglie in cui il figlio è tecnologicamente più
avanzato di mamma e papà?
“Qualsiasi genitore – spiega Lara
Motta - deve raggiungere la consapevolezza che rientra nei propri doveri
fondamentali essere in grado controllare sistematicamente l’approccio dei figli
verso le nuove tecnologie, di spiegare le insidie che nasconde la rete, le
precauzioni da adottare e la condotta che devono e non devono tenere nel mondo
virtuale. Esattamente come farebbero nella vita reale. Ma per ottenere questo
risultato, e favorire una nuova mentalità negli adulti, bisogna attuare
urgentemente un programma continuativo
di comunicazione e di sensibilizzazione su scala nazionale che si rivolga
direttamente ai genitori, seguito da una maggiore informazione e formazione, attraverso
nozioni pratiche che possano essere facilmente attuabili anche da chi non
possiede conoscenze informatiche pregresse”.
La scuola, in primis, rappresenta ancora una volta, il canale di
comunicazione privilegiato.
“Già dalla scuola materna – prosegue Motta - è fondamentale iniziare a
fornire ai genitori le giuste informazioni e coinvolgerli nel loro ruolo di
educatori nei confronti dei nativi digitali. Per essere certi che
l’informazione raggiunga tutti i genitori in maniera capillare, non è
sufficiente organizzare conferenze nelle scuole e affidarsi alla volontà e
all’adesione dei singoli, seppur queste rappresentino un ottimo strumento che
deve essere comunque implementato in tutte le strutture scolastiche. E’
necessario assicurarsi di raggiungere tutti. Ogni occasione di contatto con i
genitori deve rappresentare per le istituzioni un’opportunità imperdibile per
trasmettere il problema come qualcosa di tangibile e di potenzialmente presente
nella vita di ciascuno.
Famiglia e scuola devono insieme educare
i giovani al rispetto della persona anche nella vita digitale, e condurli a un
utilizzo consapevole e moderato delle nuove tecnologie”.
Un uso che deve essere non solo commisurato all’età, ma anche al senso di
responsabilità e al livello di maturità della persona.
Modelli di riferimento dei minori e
incidenza sul bullismo.
“Un programma di educazione digitale
nelle scuole è indispensabile, ma non è sufficiente. Sono necessari,
parallelamente, programmi specifici improntati sul rispetto della persona.
Perché alla base del bullismo,
esiste anche un’emergenza sociale che riguarda i modelli di riferimento dei
minori”, spiega Lara Motta.
Come
ha evidenziato Elena D'Amato, vice questore della polizia postale, ci sono
modelli violenti nei giochi, nella pubblicità e nei cartoni animati che
inculcano una normalizzazione della violenza e che a lungo andare incidono.
“La
violenza è stata sdoganata a tal punto che si sta quasi rinunciando a
proteggere i nostri figli dai modelli negativi, proprio perché giungono da ogni
direzione”, sottolinea Motta. “La loro mente è continuamente iperstimolata da
modelli di comunicazione totalmente inadatti alla loro età. Questo provoca
un’assuefazione tale alla violenza da renderla normale, e non eccezionale. Si
spoglia della sua valenza negativa e si riveste di quotidianità. Ecco
perché poi, agli occhi dei giovani, non appare così sbagliato se la voglia di
condividere video sui social network diventa il movente per compiere atti di bullismo. Atti che si realizzano
nell’indifferenza, se non nel divertimento, di chi assiste, riprende, commenta.
Nulla sembra più così grave”.
Ecco perché la scuola
deve rappresentare, insieme alla famiglia, il luogo dove si ristabilisce la
normalità, dove si ridisegnano i confini, dove si apprende cosa è sbagliato e
cosa non lo è. Una voce forte contro tutte le altre, dove viene rafforzata
l’educazione al rispetto della persona, propria o altrui, fin dai primissimi
anni di vita.